Non è semplice dare una definizione universale di rito anche perché l’uso e l’abuso contemporaneo di parole come rito e rituale hanno evidentemente prodotto una certa confusione. Pare, infatti, che i media vorrebbero persuaderci che ogni comportamento ripetitivo sia un rituale, ma così non è perché, se così fosse, allora anche azioni in un certo senso banali come il lavarsi i denti sarebbe un rituale. Dunque, benché la ripetitività di un’azione è una condizione necessaria per definire un rito non sufficiente.
Considerata la delicatezza del tema, vorrei citare velocemente alcune riflessioni di linguisti, sociologi e antropologi considerati tra i padri fondatori degli studi scientifici sul rito, e questo per tentare di trovare alcune analogie con la nostra ritualità.
Secondo il linguista Emile Benveniste, rito deriva da ritus, che significa ordine prescritto, temine a sua volta associato a forme greche come artus, che significa ordinamento, ararisko cioè armonizzare, adattare e arthmos che evoca l’idea di legame, congiunzione. Si tratta di etimi che presentano la radice ar, che deriva dall’indoeuropeo vedico rta, arta, che indirizza l’analisi verso l’ordine del cosmo, l’ordine dei rapporti fra gli dei e gli uomini, così come l’ordine degli uomini tra loro.
Emile Durkheim, nel suo Le forme elementari della vita religiosa, ha accostato rito e religione. Secondo Durkeim il tratto peculiare del pensiero religioso è separare ciò che è profano da ciò che è religioso, così il pensiero religioso include due elementi: le credenze e i riti. Le credenze religiose sono rappresentazioni che esprimono la natura delle cose sacre, i riti invece sono le regole di condotta che prescrivono come l’uomo deve comportarsi con le cose sacre. In altri termini Durkheim sosteneva che i riti hanno il potere di creare una frattura nella linearità del quotidiano perché hanno lo scopo di collegare il presente al passato e l’individuo alla comunità.
Marcel Mauss parte invece dalla nozione di sacro e sacrificio, nozioni che considera strumenti principi per arrivare alla conoscenza dei riti e dei miti. Per Marcel Mauss la nozione di sacrificio è essenziale per definire il rito perché il sacrificio è efficace proprio in quanto è un fatto sociale. Il sacrificio diventa come un atto religioso che modifica lo stato morale della persona che lo compie e in definitiva attraverso i riti si vuole esercitare un’azione su certe cose. Un rito è dunque un’azione tradizionale efficace e l’essenza del rito consiste nell’atto di credere ai suoi effetti mediante pratiche di simbolizzazione.
Mary Douglas prosegue la riflessione di Marcel Mauss, così per mezzo dei riti vengono elaborati e resi pubblici dei modelli simbolici, il rito è dunque una cornice all’interno della quale elementi ed esperienze entrano in relazione acquistando significato. Mary Douglas giungere alla definizione: non è un’esagerazione dire che il rituale rappresenta per le società più di quanto rappresentino le parole per il pensiero: infatti è possibile sapere una cosa e poi trovare le parole per esprimerla, ma è impossibile avere delle relazioni senza degli atti simbolici. Insomma per Mery Douglas si ha rito laddove si produce senso e il termine rito diventa spesso sinonimo di simbolo perché i simboli sono le molecole del rituale. Il rito allora è creativo ravvivando la memoria e lega il presente al passato che conta. E ancora, il rito può permettere la conoscenza di ciò che diversamente non si sarebbe potuto conoscere, ci sono infatti alcune cose che non possiamo sperimentare al di fuori di un rituale.
La vera svolta alla comprensione del significato del rito fu apportata da Arnold Van Gennep, padre fondatore della moderna etnografia francese, famoso per il suo I riti di passaggio dove scopre che moltissime manifestazioni sociali obbediscono allo stesso schema formale e utilizzano lo stesso quadro di riferimento spazio-temporale. La svolta epistemologica è quella di studiare i fatti ordinati e in successione entro la loro sequenza e non separarli dal contesto, Van Gennep giunse così ad una sorta di principio universale del rito giungendo allo schema dei riti di passaggio. La sua tesi sui riti di passaggio è rivoluzionaria, tesi che contaminerà per sempre la riflessione socio-antropologica sul rito: le società sono caratterizzate dalla discontinuità e il rito di passaggio cerca di ricomporre l’ordine sociale rimesso in discussione a ogni nuova tappa del ciclo biologico umano. Lui considera il rito inscritto nel tempo e nello spazio e un rito non ha valore in se stesso, non ha un valore o un senso definito una volta per tutte, esso cambia invece di valore e di senso secondo gli atti che lo precedono e lo seguono. Così in un episodio rituale si distinguono sempre tre stadi: separazione, margine, aggregazione e fra uno stadio e l’altro esiste una tappa importante, lo stadio intermedio, quello transitorio.
Victor Turner perfeziona la teoria dei riti di passaggio di Arnold Van Gennep soffermandosi sulla tappa che riguarda i momenti di margine e così si esprime: l’individuo può dominare il pericolo attraverso il rituale che lo separa nettamente dalla condizione precedente, lo tiene appartato per un certo periodo di tempo e poi dichiara pubblicamente che egli è entrato nel suo nuovo status. Le tre tappe del rito di passaggio di Arnold Van Gennep vengono ribattezzate da Victor Turner in preliminari, liminari e postliminari (da limen, soglia) che sarebbe la fase che si riferisce al margine, alla transizione, alla zona intermedia fra separazione e ri-aggregazione. Gli individui in posizione liminare presentano alcuni tratti specifici e sfuggono alle classificazioni sociologiche perché si trovano in una posizione intermedia.
Nelle riflessioni di questi grandi studiosi possiamo leggere alcune caratteristiche e passaggi dei nostri rituali. Per esempio Victor Turner descrive perfettamente la condizione dell’iniziato così come quella della comunità degli iniziati: nella fase preliminare l’iniziando viene separato dal contesto in cui e abituato a vivere, viene separato dal suo mondo; durante la fase liminare l’iniziando vive una condizione di ambiguità per cui non è più ciò che era ma neanche ciò che sarà. Il terzo momento, la fase postlininare, condensa le due fasi precedenti stabilendo, attraverso un insieme di segni e comportamenti, l’avvenuta trasformazione re-integrando finalmente l’iniziando all’interno della società degli iniziati, e spesso con nuovi ruoli.
E ancora, Mary Douglas sosteneva come sia impossibile avere delle relazioni senza degli atti simbolici e come spesso i simboli, ovvero le molecole del rituale, sono polisemici cambiando di significato all’interno anche della stessa cornice rituale. E allora quello che simboleggia l’offesa e assieme la difesa, stabilendo la soglia del tu e del noi, diventerà di seguito simbolo di aggregazione e infine addirittura simbolo d’investitura massonica.
E poi Emile Durkheim il quale ritiene che i riti siano le regole di condotta che prescrivono come l’uomo deve comportarsi con le cose sacre. E in effetti i riti massonici prevendono una serie di regole di condotta da osservare e rispettare, mi riferisco per esempio all’abbigliamento che ognuno di noi deve avere durante i lavori, ma anche la postura e attenzione, sarebbe una trasgressione non osservare queste basilari regole di condotta, trasgressione che potrebbe inficiare l’efficacia del rito, significherebbe vanificare il sacrificio degli altri fratelli.
Esattamente così come ricorda Marcel Mauss, il rito è sacrificio, anzi per Mauss il sacrificio è essenziale per definire il rito perché il sacrificio è un atto che modifica lo stato morale della persona che lo compie. Addirittura alcuni teologi della massoneria, alcuni esoteristi, ritengono sia necessario osservare alcune prescrizioni prima di partecipare a una tornata massonica, come quella di astenersi dal sesso, osservare il digiuno e addirittura praticare le abluzioni, i lavaggi rituali. Tutte pratiche che hanno a che fare con l’idea di puro.
E ancora, Arnold Van Gennep ricorda come il rito cambi di valore e di senso secondo gli atti che lo precedono e lo seguono, non a caso si raccomanda di osservare qualche minuto di silenzio e magari di meditazione prima di entrare nel tempio.
E per finire ancora Mary Dauglas, secondo la quale il rito può permettere la conoscenza di ciò che diversamente non si sarebbe potuto conoscere, e allora Fratello primo sorvegliante gli operai sono contenti? Tanto quelli dell’una quanto quelli dell’altra manifestatamente lo attestano.
Con questo breve scritto, di certo non esaustivo, spero di aver contribuito alla nostra riflessione sulla ritualità. M:.V:. ho detto.
Fr:. S.S. 3:.